Un consiglio: lasciate la sala prima dell’ultima scena. Non voglio raccontarvi il finale del film ma quando vedrete il protagonista andarsene definitivamente dall’abergo dove abita, quello è il momento di abbandonare il cinema. Vi assicuro che avrete un ricordo migliore dell’ultimo film di Sofia Coppola.
Dopo la pausa in costume (Marie Antoinette), la regista è tornata ai giorni nostri per continuare a raccontare il vuoto e l’alienazione delle persone che la circondano. Johnny Marco è una star hollywoodiana che vive nel celebre Chateau Marmont di Los Angeles circondato da donne sempre disponibili ma senza nemmeno un amico con cui condividere i momenti di sconforto. La scoperta (metaforica ma non così tanto) di avere un’adorabile figlia di 11 anni lo spinge a riflettere sulla propria scialba esistenza. Novità? Poche. La Coppola è elegante ma non è Antonioni e i lunghissimi silenzi questa volta non sono giustificati. Il bell’attore britannico Steven Dorff non è poi certo Bill Murray che con le sue espressioni, quasi impercettibili ma eccezionali, riempiva i silenzi di Lost in Traslation di infiniti dubbi. C’è ben poco da scoprire dietro ai volti di questi personaggi immersi in un mondo dello spettacolo vacuo e scintillante. Tutto visto e rivisto. E una regia inutilemente sofisticata non basta a sollevare le sorti di un film che alla fine crolla inesorabilmente quando prova a lanciare un messaggio di speranza.
Per noi italiani però c’è un motivo per andare a vedere il film. Nell’illustrare il pietoso ritratto della vita del divo non poteva mancare la tappa nel nostro paese. L’Italia, il paese della pochezza, il regno dell’apparenza, è rappresentata nel massimo della sua espressione: una tristissima e verissima serata dei Telegatti. Da vergognarsi. gm
secondo me invece bisognava uscire ancora prima. cioè quando loro 2 sono in piscina.